Ciak 3,2,1… Azione, si gira… E se ci ripetono fin da tempo che la carriera del presepe vivente nel nostro Campo di Giove non è stata che una serie di successi, possiamo anche capovolgere la prospettiva e semmai stupirci del fatto che lungo il corso della sua esistenza lunga 15 anni, non siano mancati tutto sommato grandi folle ondeggianti come stasera grazie all’ Associazione Amici del Presepe che ha lavorato con spirito di sacrificio e passione per la riuscita dell’evento. Meglio fidarsi della sera buia e fredda, mentre nuvoloni a forma di cavolfiore navigavano nel cielo infinito.Ed ecco che il Signore aveva predisposto una grande storia per inghiottire l’attesa. Freddo come l’Islanda, con l’ombra di un fuoco dentro una vecchia scranna coperta di incisioni come una panchina della Battery. Navigavamo da qualche minuto quando in su il far della sera ci apparve uno stuolo di figuranti, e poi suoni soavi che aleggiavano nell’aere e luci variopinte. Ci vennero incontro a bocca spalancata per ogni dove, sollevando l’onda e flagellando la folla che si muoveva ondeggiando. Molto simile al vero. Obbedivano alla voce del Signore. Col vento sibilante, all’improvviso una possente massa emerse e saettò perpendicolo nell’aria. Nel giudicar del vento turbinoso nomato Gennarone. Saranno state le diciotto e trenta che, passata la buriana sembrava di una quiete quasi soprannaturale. Per quanto frizionavamo la schiena per il freddo, le battute dei piedi e delle mani si moltiplicavano ad libitum. Avevamo già coperto un bel tratto di montagna per la terra dei sogni quando udimmo un passo pesante di due cavalli e un barbaglio di luce di due soldati romani. Avevo strane sensazioni. Proverò a spiegarle. Ricordo bene anche da bambino di essermi trovato in circostanze analoghe sogno o realtà che fosse, ma non sono stato capace di appurarlo. I figuranti avevano un senso innato della discrezione; mirabile era la loro cortesia di fondo. Molti erano acerbi, verdi come le montagne verdi da dove provengono. Anche d’inverno il paeseè bello a vedersi,un borgo antico pieno di vicoli, scalinate belle e perenni come la luce del sole al settimo cielo. Il tempo era passato dal freddo terso al silenzio ovattato, rotto solo a momenti dall’urlio delle voci. Muto. Ogni fedele sembrava sedere di proposito in disparte. Seguì un sordo rumorio di stivaloni e uno struscio ancora sommesso di scarpe femminili. Poi tutto tornò quieto; l’emozione non aveva voce; ogni sguardo era puntato sulla grotta dove Giuseppe e Maria osservavano la mangiatoia dove era posto Gesù bambino. La stessa seduta con le mani brune sul petto e gli occhi espressivi scioglieva una preghiera con fervore intenso. Sollevare gli occhi per guardarla dava un senso di umiltà corporea. A quel punto eccovi lì, uniche calde faville nel cuore di un cristallo artico. E ci voltammo ad ammirare la magnanimità del presepe che non dava adito a tracce. In compenso però che orizzonte in questo mondo piccolo ma esimio e discreto.
CESIDIO COLANTONIO