A modo mio avrei bisogno di sognare anch’io, cantava il grande poeta Lucio… Un grande sogno. Leggero come una farfalla. Nel sogno però come tutti sanno il tempo se ne va per i fatti suoi: non ordina più le cose come in una successione, secondo un prestabilito prima e un poi. In effetti si comporta come uno spazio abbastanza lungo: eventi e persone del passato sono compresenti ad eventi e persone del presente. Ciascuno di noi insomma è fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni, come diceva Shakespeare, ed è una sola moltitudine. Il pannolino fradicio si era ghiacciato e l’urina gli aveva irritato la pelle. La felicità fece parte integrante della sua fanciullezza, e fu qualcosa che il suo subconscio assorbì profondamente molti anni prima di iniziare a muoversi con passo incerto lungo il cammino che avrebbe dato forma al suo immaginario, che riempiva l’aria del giorno e della notte. La sua testa racchiudeva già suoni e colori che non avevano possibilità di venire fuori con le vene della fronte pronte ad esplodere per provare il brivido della vita dal vivo. Joe era una specie di spugna di vita pronto ad assorbire idee da qualunque fonte disponibile: di quelli che sanno e sono contenti se possono aiutarti. Le sue fantasie stavano a poco a poco prendendo forma con il suo evidente talento. Molte lo incoraggiarono a sviluppare proprio l’elemento spettacolare del suo talento tra una stecca di zucchero candito e un giro sulla giostra di Mario con i suoi dolci sguardi e il suo fascino da bambino sperduto. E’ come se il tempo strisciasse lentamente, come un circo che arriva in città e poi riparte senza lasciare traccia alcuna del suo passaggio: niente casa, niente radici, niente amore.Ero terrorizzato. Sentii di essere invecchiato di vent’anni in due minuti. Gridavo attraverso un buco di serratura e non ero abbastanza concreto. A questo punto ricominci a parlare con te stesso, mentre girava per il campo suonandone una immaginaria. L’ignavia si aggirava furtiva lungo le strade deserte e la speranza che è una cosa buona e come tutte le cose buone non muore mai era l’unico antidoto ad una paura atavica. Ma la struttura di speranza poteva anche creare una sensazione di piacere fisico, di libertà e di ampiezza di orizzonti. Il Titanic salpò all’alba,eppure mentre affondava, l’orchestra continuava a suonare. Tuttavia in mezzo a questa ed altre apocalittiche visioni sopravviveva una speranza, un relitto a cui aggrapparsi. Si trattava di momenti magici, come se dentro di lui scattasse una molla. Non succedeva sempre, non era calcolato. Però durante tante serate c’era solo lui. Era la forza che muoveva le stelle, attraversava il mondo come un tornado, mentre durante altre sentivi i topolini correrti sul petto mentre gli scarafaggi ti rubavano dal taschino il tuo ultimo pezzo di dolce. Quelli che svenivano non avevano nemmeno lo spazio per cadere a terra. In realtà non accadde nulla di straordinario,e alla fine di un lungo tour durato anni la rocca di Gibilterra era ancora al suo posto. La speranza diveniva in tal modo esperienza conoscitiva grazie alla quale chi ascoltava entrava in diretto contatto con gli artisti. Si dirigevano verso il sole per assaporarne da vicino il calore. Era stato un periodo brutto, era stato un periodo triste e per qualche ragione stava per finire. Un pezzo può avere solo cinque parole o cinquemila se al resto provvede la speranza di un nugolo di farfalle liberate. A un certo punto Joe disse: quanto tempo ho ancora? Tutto quello che vuoi…
TIKRIT65