THE COLOUR FIELD

Chi di noi non è mai rimasto affascinato, emozionato, dal rosso tizianesco di un cielo d’estate al tramonto, dal bianco azzurro cristallino del mare, dal giallo dorato e ondeggiante di un campo di grano o dal verde fulgente di un campo di calcio? Riparto ed è sempre come scrive Kundera: “Non c’è niente di più bello dell’istante che precede il viaggio, l’istante in cui l’orizzonte del domani viene a renderci visita e a raccontarci le sue promesse”. Più gentile di ogni cosa era l’erba, immensa, cresciuta così soffice sul dolce pendio da permettere a chi cadeva, a chi si sdraiava, di poggiare dolcemente il capo e di sentire l’odore dello sport e quello dei campi d’estate che scaldano il cuore agli ultimi osservatori romantici (quelli che citano Carducci e non calpestano le coltivazioni!). Il verde rappresenta il bisogno, la speranza, la passione, la fantasia di sostenere se stessi. Esprime psicologicamente la volontà di operare, la perseveranza che non è una lunga corsa, ma una corsa dopo l’altra. L’idea maestosa del verde, della bellezza, del bello in se, quasi un’entità immutabile che in questo momento durissimo si trova dentro di noi ma che è dentro al panorama di Varadero, ad una poesia di Montale e a una finta di Insigne, un angelo nervoso che tira punizioni celesti. Mai, perché quando c’è equilibrio vince la squadra dove gioca il talento, perché se lui decide che è il momento di vincere, vince. Se hai tecnica e qualità è impossibile non vincere. Se hai qualità e un gioco alla fine i risultati vengono fuori. Non so perché, ma anche stasera mi è ritornata in mente la frase: “sono tornati gli illegali”. Oggi per noi l’idea della bellezza è un pensiero, un processo mentale, un qualcosa che si forma e si fa strada nel buio della nostra mente dirompente come un’ondata che si abbatte sulle nostre abitudini. L’idea di calcio, con la sua unicità, immutabilità, eternità può essere un salvagente, una sicurezza a cui aggrapparsi e di cui sentivamo proprio il bisogno. Una luce verde che non vi dico, roba che non si può descrivere. Da una parte il pallone come mistero agonistico e una galleria di assi, talenti, ventidue statue meravigliose, perfette, eccezionali che si muovevano da una parte all’altra del campo verdeggiante e che per quanto correvano pareano non stessero nelmio cinquantacinque pollici! Dietro a tutti il sole o se preferite un grande fuoco di luci ad illuminare la scena nel silenzio del minuto di raccoglimento per le tante vittime del coronavirus che ci hanno lasciati quasi senza farsene accorgere. Ma allora come spiegare il successo che ha sempre avuto nel mondo? Calma e gesso dicono i giocatori di carambola: leggiamoci prima il dialogo e poi ne parliamo…

TIKRIT65

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