Cosa potrebbe fare un poeta senza tormento? Ne ha bisogno come della sua macchina da scrivere. The Wall è retaggio lontano, rimosso nel ritmo frenetico del sorgere di nuovi edifici, sopra macerie e ricordi di una storia difficile, strana e ingombrante. La gente solitamente si rifugia nel futuro: traccia una linea immaginaria sulla traiettoria del tempo al di là della quale le sofferenze di oggi cessano di esistere. Allegri ma non troppo,i ragazzi sono in vena di pressioni agghiaccianti. Questo sembra il canovaccio. Cosa scegliere allora? Leggerezza o gravità? Sentirsi aderenti alla terra, vitali, reali e autentici, oppure spiccare il volo verso l’alto? La leggerezza può essere un vantaggio, alla lunga il solo modus che accetteranno. Ci sarà un muro davanti, lacrime di stupore e incredulità. Mattoni su mattoni, un futuro invalicabile che vuoi dimenticare. Il tentativo quasi folle e utopico di frenarne con una buona letteratura la grave decadenza umana e morale. Perché? Lungo e freddo come una valanga. La valanga è come il destino. Incomprensibile. Come Moby Dick che il grande Melville descrive nelle sue singole parti, le pinne, la cosa, le fauci, ma che resta indescrivibile nel suo insieme. Ti aggiri come sui canali di Amsterdam in un giorno d’inverno. Freddo artico, luce come se non avesse pulviscolo. Ma i muri sono simboli e dicono cose poderose. Mah! Parlano la lingua delle cose che si possono mantenere. A confermare che nel mondo moderno, anche nel mondo del lavoro o dello sport, l’insofferenza è il male più comune ed incurabile. Rimarrà a simboleggiare tutte le ingenue glorie, i freschi entusiasmi, l’avvio faticoso di una nuova epoca. Esso sarà anzi circondato di un’aureola ancor più luminosa, radicale e pur splendida di quella che gli spetta, ma ciò si può spiegare agevolmente con la concezione eroico individualistica che ha ispirato tutte le versioni storiche della nostra elite. Intera catena montuosa di cemento armato eretta ad altezza smisurata in un delirio di cattivo gusto. Sembra essere disegnata con il righello da uno stanco geometra. Come dice lo psicologo dello sport Jim Afremon: “goditi ogni momento della competizione per evitare la tentazione di saltare nel futuro”! “Cantiere Italia, mito di Babele/nell’empireo ti credi e tocchi il fondo /dentro un gergo di miele, di verbi all’infinito/le mire riconfondono. Stadio pensile mistico, botanico/ erba fiutata da collezionisti/ al naufragio/”. Scivola via la sabbia dalla parte superiore della clessidra. Scorre il tempo e la nebbia non sembra diradarsi. Cosi tutti condivideranno la solitudine immune dei mondi e dei muri sotto il sole, la pioggia e la tempesta in un continuo vagare, dalla mattina alla sera. “Guarda, un treno con le ali d’oro mi sta passando davanti. E non dovette fermarsi, ma solo continuare ad andare. E cosi alla fine castelli di sabbia scivolano nel mare.” E’ un po’ come fra pescatori, d’altronde siamo sempre vicini al mare : una questione di misure. Bisogna vederli e magari provarli, superarli come qualche coraggiosissimo surfista a caccia della Big One, l’onda più grossa, quella che ti fa sognare e spesso cappottare anche con disastrose conseguenze. Ogni giorno della nostra vita è unico, ma abbiamo bisogno che accada qualcosa che ci tocchi per ricordarcelo. Non importa se otteniamo dei risultati o meno, se facciamo o no bella figura; in fin dei conti, l’essenziale per la maggior parte di noi è qualcosa che non si vede ma si percepisce…
TIKRIT65