Ogni partita è un giro di giostra, la fine di un percorso e l’inizio di una nuova traiettoria, che da una parte accende la luce, e dall’altra allunga le ombre. Forse è vero che il tempo è galantuomo, e restituisce a tutti le prospettive giuste. The Train ha imparato ad ingoiarsi la curiosità, perdendosi nei labirinti di un’immaginazione febbrile e di una passione inesauribile. Ma il cielo biancoblu trascurò quel desiderio, come tanti altri. Alle “sfortune”, quando si accumulano, si fa l’abitudine, anche in giovane età. The Train ha deciso di lavorare molto sull’orgoglio, sulle motivazioni, sulla fame, sulla fuga per la vittoria, al di là the Wall, oltre la sindrome dell’accerchiamento, che di tanto in tanto colpisce. Una speranza concreta, figlia di prestazioni belle e meno belle, ma potenti come la grazia di calcio purissimo. In quel momento il sogno sembrava inesorabile, come sfiorato da una carezza del destino. Gli piaceva e gli piace determinare il destino di qualsiasi partita, azione dopo azione, dribbling dopo dribbling, anche l’ultima più draconiana. Chi ha di più, è obbligato a dare di più. Suona come una condanna, semplicemente è il compito di chi ha le ali ai piedi e il fuoco negli occhi. Gli chiederanno sempre di inventare, di immaginare, di scegliere la giocata un secondo prima.Lei è sempre allegra, quasi irriverente, con scarpette di vernice rossa, come quelle di Dorothy ne il Mago di Oz. Rimase immobile, come un vecchio albero piantato a terra, ma aveva sempre tempo per sognare, o per mettere in fuga i fantasmi, nel caso fossero “cattivi”, prima di ascendere lungo le scale celestiali dell’Olimpo. Ha iniziato lentamente ad esorcizzare il passato, a tenerlo chiuso in un compartimento stagno della propria memoria, vantaggio della disciplina, della fantasia, della passione, della vita all’aperto. A volte la sfortuna vince la battaglia, e il risultato è un’emicrania paralizzante, ma anch’essa è parte del prezzo. Ma chiunque coltivi ambizioni importanti, deve disporre di un potente senso di identità. Per diventare grandi calciatrici o calciatori è prima necessario lavorare sodo, per sentire nel proprio profondo il convincimento di esserlo. Non si diventa grandi perché ce lo dicono il mister, le compagne di squadra, i giornali: si diventa grandi perché non molliamo mai, e siamo orgogliosi di quello che stiamo facendo; perché siamo consapevoli delle nostre risorse tecniche e morali, perché non ci accontentiamo mai, e ogni giorno lottiamo per migliorare. Siamo grandi quando l’elogio degli altri è soltanto la conferma di quello che già sappiamo. La propria identità è il proprio baluardo: nessuno può metterci becco! Identità significa rispettare sé stessi, non tradire mai. Un treno è come una stanza, e non si può uscire mentre è in movimento. E’ quasi una “maitre a penser” dei giorni nostri. Poche parole, ma che hanno sempre pesato tantissimo. Una sorta di “training” autogeno del giorno prima, in cui si convinceva che la cosa giusta era dire cosa gli frullava in testa magari da settimane. E’ the Train calciomania! Gira la ruota. Con tutta la stima per Mike e la sua ruota della fortuna, mi permetto di rubare la sua frase magica per fare riferimento alla circonferenza rotante della Dea che gira. Eccome! Che il lieto finale possa ripetersi? In fondo la ruota sta girando bene. Un mondo verde, verde, umidità calda sulla pelle e nei sogni… In becco all’aquila!!!
TIKRIT65