Esiste una logica del paradosso, non soltanto nel frascheggiare degli umoristi. E’ questo il lato paradossale, ma si spiega appunto per fil di logica. Quel volo indietro nel tempo. E’ come se con quel volo indietro di quaranta anni, uno avesse organizzato d’incanto un raduno per tutti i tifosi laziali ma anche per quelli come me che seguirono il tragico epilogo dal vicino Abruzzo. In genere questi raduni sono tremendamente pericolosi. In certe pizzate tristi tra tifosi con la mente scopri quanto il tempo si sia accanito ferocemente quando sui muri compaiono ancora ad intermittenza delle scritte allucinanti. E in quell’ attimo siamo ringiovaniti di quaranta anni. E’ un po’ come se ci fossimo buttati tutti nella piscina di Cocoon, senza avvertire nessun dolore alle articolazioni e alla schiena, ritrovando l’energia della giovinezza. Nel momento di massima sofferenza si ritrovò sulla fronte il razzo della vergogna. Aveva 33 anni e il mondo in tasca, amava la sua squadra del cuore, invece qualcuno volle scrostargli il suo sogno. E dopo i momenti felici vennero quelli spiacevoli.Furono anni in cui tutti ruggirono. Poi qualcuno inseguì la follia. Poi ci furono tanti morti di mattina e di sera. Quando la curva già rigurgitava di gambe, di mani e di teste, loro erano pronti a colpire. Si cercava un po’ di normalità disperatamente. Ma per un osservatore giovanissimo questo continuo saliscendi poteva essere un fattore di interesse e di ricordi in un lasso di tempo lunghissimo. Quaranta anni. Quando è sul pezzo si porta in vantaggio e annichilisce l‘avversario che sembra non avere scampo. Al contrario sopraffatto per coesione di squadra e articolazione in curva, si è contenuto prudente in difesa, sciabolando all’attacco una bandiera biancoceleste ogni qualvolta gli si offrisse il destro. Era come una gioconda vista di spalle. Mancava sempre qualcosa. Si chiamava Paparelli, d’altronde è lui il sodale di un quarantennio sportivo laziale. Una mano nostalgica, commossa e riverente ha deciso di spendere poche parole per un Laziale Speciale. Se lui l’avesse viste e lette ne avrebbe sorriso, sornione e bonario come sempre. Magari pensando ad un ultimo regalo di un tifoso. Eleganza, un vestito di classe sopra una bandiera da brividi. Arrampicarsi sulla pelle di uno stadio e sulla scorza della vita è solcare un oceano verticale irto di inciampi e difficoltà. Si sfidano, si snodano. Il razzo si contorse con una certa velocità e colpì violentemente e sembròquasi che fosse andato contro le leggi della fisica. La gente cominciò a far la fila davanti a lui nella metà alta della Curva Nord. Non assomigliava neanche ad una ferita di guerra, era molto di più. La partita fini 1a1, ma per i giocatori in campo fu come se non si fosse mai giocata. L’immagine è quella di un uomo Gabriele, suo figlio che vive nella piccola casa in mezzo al deserto e che veglia alla luce della sua lampada. Dal canto suo egli pensava di aver messo a segno un colpo da maestro. Lungo quegli spalti gremiti per un derby del 1979 erano tutti allineati con camicie biancoazzurre tutte diverse l’una dall’altra a tifare per la propria squadra, poco avvezzi alle sofferenze e alle tribolazioni della vita da stadio.Why?
TIKRIT65