Animula blandula vagula Piccola anima smarrita e soave,
hospes comesque corporis, compagna e ospite del corpo,
quae nunc abibis in loca ora t’appresti a scendere in luoghi
pallidula, rigida, nudula, incolori, ardui e spogli
nec, ut soles, dabis locos … ove non avrai più gli svaghi consueti ….
E’ una breve lirica dell’imperatore romano Adriano – nato nel 76 e morto nel 138 – la cui famiglia era originaria della città picena di Hatria, l’odierna Atri.
Adriano fu un grande imperatore, ottimo militare, amministratore saggio, importante edificatore, appassionato letterato, competente innovatore, raffinato pensatore e amante di ogni forma d’arte.
Egli è arrivato a noi anche con questi versi struggenti e di profonda sensibilità in cui si spoglia della porpora imperiale e si mostra semplicemente uomo mentre si prepara, a causa della salute che andava scemando, alla separazione dal suo corpo della sua anima.
Adriano si rivolge all’anima salutandola, quasi come fosse su una soglia ove la vita si divide dalla morte e lì stesse per avvenire il distacco da una cara compagna; ne parla come un’entità indefinibile con il corpo che è la sua dimora ma la considera come fondamento per la l’esistenza della vita in ogni essere umano.
E così, in attesa della morte, si rivolge a questa sua anima e, con sofferenza, la saluta ricordandole che sarà costretta a vagare in luoghi freddi e oscuri, senza avere più la possibilità di gioire e avere svaghi e sottolinea, alla fine. che tutto finisce e con il corpo svanisce anche l’anima destinata a una destinazione senza luce, senza bellezza e tra ardue difficoltà.