Se la storia è spesso una storia di soprusi, di angherie e di selezioni furbastre in omaggio al Potere, di persone, bambini, bambine da risarcire, opere da restituire e tesi da rimettere in circolazione ne rimangono tantissime. La serratura e la chiave, dapprima c’è l’una, il problema, poi forse l’altra. La soluzione è una metafora usata, ma rammenta comunque che un semplice articolo non è mai l’esito di un approccio ovvio e che va letto con un atteggiamento onesto, senza attribuirgli crediti morali di principio e ritenendosi liberi di farsi entusiasmare dal pensiero critico. Eppure qualche spazio residuo rimasto parzialmente in ombra anche nella nostra vita ancora esiste. Proprio l’impatto tanto massivo, totalizzante, dell’idea imperialista ha portato a renderne opachi alcuni ambiti. Le partite della Domenica in uno stadio pieno all’inverosimile e la famiglia, entrambi da me amati con immensa passione, sono i soli posti al mondo in cui mi sento innocente. La frase “espressione totalitaria” della passione della gioventù turca che significa? Forse espressione totale o espressione compiuta avrebbe reso meglio il suo pensiero. Altresì si debbono sottolineare gli sforzi enormi compiuti per esportare guerre contro delle popolazioni “minori”. “Or dunque che è/ Mutata tu sei civiltà?/ Questa palestra novella/ è la sede più bella/di te, Verità?”. Il gioco non basta più. Per raggiungere la verità ci vuole il richiamo disperato della volontà. Nel gioco tormentoso dei combattimenti, massimi e minimi, cruenti e incruenti, è sempre la volontà che decide. Le forze in conflitto si riducono, quasi si cristallizzano in verità essenziali. E’ il cuore che vince. E’ il cuore che spinge all’estremo traguardo il popolo curdo. C’è qualcosa di più della vittoria conquistata a prezzo di muscoli e d’intelligenza in uno scenario apocalittico. Al di là della vittoria in un conflitto risplende la mancanza di libertà. Mi verrebbe da dire: “Svuotiamo gli arsenali e riempiamo i granai”. Il bel mostro poderoso che tutto si scuote per l’agitarsi del suo cuore violento che fa tabula rasa del popolo curdo. Una spavalderia bella e buona, forse troppo muscolare e villana, “eccessivamente democratica” agli occhi del mondo intero. Un maschilismo virile e misogino piuttosto pronunciato, infarcito di latente razzismo. Si tratta di un’avventura dolorosa in cui le farneticazioni, i patimenti, gli incubi e le illuminazioni improvvise affermano le doti di un tiranno, ma dicono che il suo sport è più nero che roseo, certamente non fonte di ottimismo e dinamismo. E le provocazioni che hanno agito da molla per la sua resurrezione cercando la vendetta, capace di scacciare i fantasmi curdi. Come è triste morire sotto questo sole festivo! Quei barlumi di emozioni, gioie e sogni di bambini e donne e uomini infranti in un attimo nei cieli curdi, tramutatisi da nemici in fatali. Il mondo è rotondo e il bel mostro ci giuoca, ma il sospetto è che rida solo lui. E perfino i colori sembrano confermarlo; il sole che splende semplicità di tutto il contrario, di mascherare la disperazione, fornire un alibi alla fiacchezza. Eppure il duro spessore di questa bruttissima storia si rivela fatta di musica, suona lirico, silenzioso. Infine la pioggia di proiettili: l’infimo gesto è una pena abietta in questo caldo. “La cosa più difficile al mondo è scrivere una prosa assolutamente onesta sugli esseri umani, chiosò Hemingway”. Il mondo a rovescio come un pallone che non gira. Come quel mondo che nei nostri sogni vorremmo che tanto ritornasse a splendere pulito e luminoso. Forse che si, forse che no…
TIKRIT65