RECENSIONE, IL CAMPO INDIANO DI CESIDIO COLANTONIO

“IL CAMPO INDIANO”                                     ROMANZO DI CESIDIO COLANTONIO                                                                                                     RECENSIONE

Un sogno comune, una scintilla che si accende all’improvviso come il lanternino di una lucciola gioiosa, sullo sfondo di un campo di calcio. Al centro, la figura onirica di un vecchio capo indiano la cui sigaretta, sorta di amuleto antico e feerico, emette fumo bianco che si avvolge su volute sempre più piccole, fino a perdersi del tutto. Questa l’icastica immagine con cui si apre il romanzo di Cesidio Colantonio. Da essa sembra emanare la saggezza, ingrediente fondamentale che sempre dà smalto ai progetti realizzabili e che aumenta di portata quando ciò che si intende perseguire appare realmente inarrivabile. Sogni in volo, retini pronti ad imprigionarli come docili e garbate farfalle, il tutto condito…dall’utopia. Perchè i sogni, gli obiettivi, tali appaiono soprattutto a chi alimenti il suo spirito di quel nettare, dono degli dei, che è l’entusiasmo, specie quello giovanile e non solo. L’utopia, sapientemente descritta dall’Autore, si accampa già nelle prime pagine del romanzo a mò di manto provvidenziale che protegge avvolgendo la vicenda dei protagonisti  Josè e Mendes che condividono un sogno, cioè quello di diventare campioni. “Utopia”è termine insistito  quasi a sottolineare che, come lo stesso etimo greco del termine(senza luogo) racconta, i sogni, gli obiettivi, spesso non hanno patria nè confini , apparendo entità che volano nell’iperuranio della fantasia, incapaci di calarsi in basso, in una realtà vivibile nella quale, comunque, accadono, sovente, cose impensate e imprevedibili. Il demone, l’essere, l’entità che, secondo gli antichi Greci, era a metà strada tra l’umano e il divino, muove il pensiero, lo domina facendolo innamorare, intrecciando mirabilmente gli elementi che presiedono alla creazione di un progetto e alla realizzazione dello stesso. Ansia, paura di non farcela, di essere inadeguati e non all’altezza si sgretolano travolti dalla forza dell’amore con cui ci si propone una finalità, un obiettivo, come quello dei protagonisti del racconto. Ed ecco che, da entusiasmo fiorito, tipico della gioventù, la passione calcistica diviene forza cosmica, impregnando luoghi, oggetti, ambienti e tutto ciò che è intorno. Quelli di Josè e Mendes erano sogni ad occhi aperti, “film bellissimi” in grado di produrre emozioni utili a stimolare la fantasia. Più forte è l’immaginazione, più alta è la probabilità che i sogni si avverino. Ben descritta nel romanzo è la volontà di evasione dei due giovani, l’attrazione e il fascino esercitato su di loro dalla musica  e dagli occhi verdi di una ragazza, Vanessa, dal nome di farfalla. Ricco di citazioni dotte e di richiami letterari, il romanzo corre e serpeggia per i vicoli e i meandri dell’interiorità, lasciando il lettore disarmato per la capacità dell’Autore di descrivere e scandagliare la forza delle pulsioni, l’entusiasmo e la pazienza necessari per raggiungere un obiettivo sognato. Il narrato si solleva così dal terreno della vita vissuta, librandosi in alto dove sogni e aspirazioni, ambizioni e aspettative, possono diventare realtà. E’ tutta una magia, alveo nel quale non mancano riferimenti relativi all’importanza della lettura, della cultura, ferree alleate del talento che, altrimenti, rimarrebbe una ben piccola cosa, scarna, senza sangue e male espressa. Ricco di voli pindarici, metafore e considerazioni di alto livello, con una scrittura evocativa in grado di farsi strada nelle fibre più profonde della mente dei lettori, il romanzo fa riemergere pulsioni spesso negate o relegate nel limbo delle cose sbiadite o volutamente dimenticate. Ed è così che la spola dell’utopia con cui si apre il romanzo si muove sul telaio della narrazione, creandone la trama e l’ordito di una tela, storia nella quale tutto è possibile e i sogni, anche quelli in apparenza irrealizzabili, diventano realtà.

MARIA  MONTUORI

 

 

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