FORMIDABILI QUEGLI ANNI

FORMIDABILI QUEGLI ANNI

Salì sul treno con un groppo in gola, e con calma apparente osservò da quella piccola grata il mondo che si muoveva intorno velocemente. Si rese conto in momenti come quelli di un profondo distacco, di avere la prova tangibile dell’importanza del proprio ruolo. Era pienamente appagato quando entrò a far parte del club dei novanta. Erano giovani e forti, massicci e inesorabili. L’ingresso nel club gli aveva dato una scossa elettrica, lo aveva costretto ad uscire dal ruolo di osservatore distaccato. Costituiva uno specchio curioso ma rivelatore del nostro futuro, giacchè si muoveva dalla contraddizione di fondo, diviso tra la fatica, la lontananza, lo slancio e il talento dei genieri. Eppure non era nato per sparare. Non era nemmeno tagliato per la vita militare, ficcante e astuto come un saraceno. A distanza di lungo tempo, e nel 150esimo anniversario dalla nascita del Genio Ferrovieri avrebbe ricordato quel triennio come formidabile, eliminando quel che rimaneva del profondo senso di vulnerabilità, di paura, dell’uso delle armi. “Se la mia penna fosse un’arma vincente” ripeteva seco. Allo squillare della tromba la sera, con il silenzio taceva ogni discordia e gli equilibri si annullavano in un comune sentimento di squadra o di team che dir si voglia. Sul rettangolo verde, lindo e profumato correva e rimbalzava sempre il pallone con invenzioni acrobatiche, scintillanti come il lampo di una scimitarra. Platone pensava che gli esercizi ginnastici avessero avuto un’origine naturale come risposta ad un istinto primo dell’uomo, ed in effetti nel gesto di calciare una palla c’è qualcosa di elementare. Si scontravano, cadevano, si rialzavano ubbidendo ad una logica misteriosa della passione senza lambiccarsi troppo il cervello. Scontri epici, attacco contro difesa nell’aria che imbruniva. Una febbre di invenzioni, di iniziative, di novità, l’ebbrezza di conoscere, di dominare la natura. Fatti una novantina di passi, sentendo alle spalle il fischio del commilitone che lo richiamava, tornò indietro. Non attese la fine della partita vinta dalla sua squadra contro il verrou piemontese una volta agile, guizzante, traboccante di vitalità. Una lezione di gioco, brutale e minuziosa come una tortura. Sotto la pioggia i giocatori in maglia verde e pantaloncini bianchi uscivano dal campo sporchi, ma felici, mescolati agli avversari mogi come se affondassero lentamente nelle sabbie mobili della sconfitta. Sembravano dei colored usciti da un film di Rossellini per la simpatia, l’intelligenza, l’istrionesca vitalità e l’amicizia che non tardarono a stringere. Non erano tutti assi, ma la strenua combattività e il saldo morale avevano compiuto il miracolo di trasformarlo in una eccezionale parentesi di trasporto poetico. Una magnifica squadra che era il nostro orgoglio e che era giunta ad un alto grado di tecnica e di bravura dopo anni di preparazione e sacrifici in una squadra ben amalgamata. Senonchè nel silenzio, all’approssimarsi della fatale pugna, il buio intorno sembrò più uguale e compatto, mentre tacevano annichilite le trombe tatticistiche. “Chiamami se lo vedi” dissi al mio papà. L’importante non è dove va, ma riuscire a prenderlo. Perché certi treni ti passano sopra una volta sola. E di me che mi sono appropriato dello splendore e della leggiadria di una storia così nuova e lontana a sua volta, si è preso quasi metà della mia vita come se fosse stata carezzata. Quanto al genio ferrovieri esso troverà sempre nella sua sorprendente bellezza una ragione in più per sopravvivere nel cuore di una folla giovanile fino all’estate mietendo i più fulgidi allori.

admin

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